Qual è il futuro dello smart working? Continueremo a cavalcare l’onda lavorando da casa come oggi, oppure torneremo in ufficio?
Come conseguenza del Covid-19 e di tutti i lockdown che ne sono derivati, molte aziende hanno scelto lo smart working come via per mantenere alta la produttività e allo stesso tempo tutelare la sicurezza e la salute dei propri dipendenti.
Ma ora che finalmente si intravede la luce al fondo del tunnel, che ne sarà dello smart working, secondo i datori di lavoro?
Chris Herd, CEO di FirstbaseHQ, un’azienda che fornisce soluzioni per impostare, mantenere e ottenere attrezzatura per chi opera in smart working, si è posto questa domanda (e con lui più 2000 aziende), e ha generosamente condiviso le risposte su Twitter.
TL;DR: Lo smart working è qui e qui rimarrà, e il 90% di imprenditori e dipendenti con cui Chris ha parlato ha trovato la cosa estremamente positiva.
Con lo smart working in crescita, che fine faranno gli uffici?
Secondo Chris, circa il 30% delle aziende sta abbandonando l’ufficio e sta scegliendo il remote working come modalità principale di lavoro.
È una mossa che tutti dovrebbero considerare? Non necessariamente.
Spesso l’ufficio è uno spazio comodo, sicuro e garantisce la possibilità di lavorare concentrati e senza distrazioni. Non tutti però possono godere delle stesse condizioni lavorando da casa, sia che la differenza consista in una connessione veloce, di un computer efficiente o semplicemente dell’aria condizionata in estate. Insomma: spesso in ufficio si lavora meglio!
La vera gemma dello smart working: il “talento globale”
L’aspetto più allettante dello smart working, a mio avviso, è il fatto che oggi sia possibile trovare lavoro in qualsiasi parte del mondo, e che, viceversa, anche le aziende possano scegliere talenti che risiedono in aree geografiche anche molto distanti.
Con il limite di non conoscere la lingua come unico ostacolo, la gente può lavorare con chiunque, ovunque, facendo (quasi) qualsiasi cosa farebbe in un ufficio tradizionale. Certo, questa possibilità è aperta solo a chi svolge il proprio lavoro al computer, ma è comunque un enorme passo avanti, sia per i collaboratori che per le aziende, anche se queste ultime, spesso, non sembravano ancora voler approfittare pienamente di questa prospettiva. Questo adesso potrebbe cambiare.
Il costo di curare il benessere dei tuoi dipendenti
Secondo Chris, il secondo motivo per cui molte aziende optano per diventare “remote-first” è perché questo permette loro di diventare molto più efficienti in termini di costi.
Questo è davvero ovvio quando si parla di uffici con ampi spazi, in cui ogni dipendente genera degli oneri (stipendio a parte, si intende). Basti pensare ai costi di mantenimento delle postazioni di lavoro, a cui vanno aggiunti quelli per l’aria condizionata, le pulizie, la piccola manutenzione, l’energia elettrica, la sala ristoro… insomma, ci siamo capiti. Se si guardano le cose da questa prospettiva, assumere dipendenti e farli lavorare da remoto diventa molto più logico!
E per quanto riguarda il burnout?
Una delle preoccupazioni principali che i datori di lavoro hanno, sempre secondo Chris, è il remote burnout. Lavorando da casa finiamo spesso con il lavorare un’ora o due in più al giorno, e magari, se siamo meno efficienti durante la settimana, compensiamo con lavoro extra durante il weekend.
Eliminando le pause e le chiacchierate davanti alla macchinetta del caffe, o anche solo le semplici conversazioni in ufficio, siamo, è vero, molto più concentrati su quello che stiamo facendo, ma questa concentrazione prolungata e senza pause ci rende più stanchi e stressati e, a lungo andare, non è salutare.
L’aspetto asincrono dello smart working
Forse il peggior problema che le aziende hanno con il lavoro da remoto è mantenere la sincronizzazione della forza lavoro in tutto il mondo.
Che sia per il fuso orario, le diverse abitudini lavorative o semplicemente che si lavori su attività diverse in tempi diversi, è estremamente difficile mantenere lo stesso workflow che si avrebbe lavorando in presenza, dove la comunicazione è molto più agevole.
Esistono però delle soluzioni per rendere efficiente anche a distanza il lavoro in team, come ad esempio mantenere aperta una conversazione in un’app tipo zoom, o usare delle app come walkie-talkie, come Squawk, che permettono di comunicare velocemente senza la formalità della chiamata telefonica.
Apps come Monday cercano di aiutare le aziende a gestire in modo efficiente i progetti anche da remoto.
Anche Trello ha fatto enormi passi in avanti, diventando più remote-working-friendly e aggiungendo svariate nuove modalità di visualizzazione delle bacheche.
Non dimentichiamo l’ergonomia
Certo, svolgere la propria attività lavorativa in un ambiente domestico, implica dover riconvertire gli spazi e adattarli a una nuova funzione, e spesso si tratta di spazi centrali (per poter mantenere un’occhio vigile sui bambini, sugli animali o su altri famigliari), che difficilmente sono organizzati per farci lavorare al meglio.
Il prezzo, purtroppo, diventa chiaro solo a posteriori, quando sopraggiungono dolori alla schiena, al collo o alle mani e gli occhi soffrono per eccssivo affaticamento.
Per fortuna sono problemi assolutamente risolvibili con mobili ergonomici e con una corretta informazione su come evitare gli errori più comuni.
Il solito avant e ‘ndré
Questo punto è un “prendi due al prezzo di uno”: non doversi recare in ufficio (a volte un pendolare spreca anche più di due ore al giorno nei trasferimenti), non solo migliora la qualità della vita, ma fa bene anche all’ambiente!
Meno inquinamento grazie a meno macchine sulle strade, che porta meno traffico, meno ingorghi e meno stress in generale.
Ma anche chi prende i mezzi pubblici può dire di aver guadagnato un po’ di benessere, non dovendo più perdere tempo in attesa per autobus o treni, e senza contare il tempo di trasferimento, mediamente più lungo rispetto allo stesso tragitto in auto.
Tutti vincono!
Allora cosa ti frena?
Secondo Chris, la maggior parte delle aziende non teme un abbassamento della qualità del lavoro prodotto in remoto.
La “prova del fuoco” a cui la pandemia ci ha, volenti o nolenti, costretti, ha evidenziato l’attaccamento che la maggior parte dei dipendenti ha nei confronti del proprio lavoro, che viene perciò svolto al meglio anche da casa.
Allora cosa temono le aziende che non optano per il remote working? Secondo Chris, il timore è che diminuisca la qualità della comunicazione, della collaborazione fra le persone e le “chiacchiere alla macchinetta del caffè” che aiutano la socializzazione e il lavoro in team.
Saranno vere motivazioni? Non proprio. Molte delle aziende con cui Chris ha parlato hanno ammesso che si tratta solo di scuse.
La gente oggi comunica da remoto quotidianamente, via telefono, messaggio, email o chat di gruppo, strumenti a cui siamo già da tempo abituati e non trovarsi in ufficio durante una chiamata non è più un impedimento.
Tu cosa ne pensi? Qual è la tua scusa per restare in ufficio? O continuerai a lavorare da remoto?